La critica mossa più di frequente al fenomeno Ufo da parte di coloro che hanno nulla o scarsa conoscenza del medesimo, è quella per cui esso non sarebbe supportato da alcuna prova conclusiva che ne dimostri l’effettiva sussistenza. Simile affermazione denota certamente ignoranza, vista la mole di prove a supporto della realtà del fenomeno, ma va in ogni caso a toccare un punto di lieve dolenza, costituito dal fatto che, al momento, non esiste la classica “pistola fumante” che possa mettere a tacere definitivamente gli scettici ad oltranza. Proprio per questa ragione si spiega il clamore suscitato dalle dichiarazioni di Frank Kimbler, insegnante di geologia presso il New Mexico Military Institute, a Roswell.
I detriti parlano…
Come probabilmente accade per molte persone che si trasferiscano a Roswell, Frank Kimbler sviluppo presto una sorta di “sympathy for the Ufos”, interessandosi in prima persona a quanto accaduto nel 1947 nei pressi della piccola cittadina del New Mexico.
Facendo fruttare le sue conoscenze professionali, il professor Kimbler iniziò a svolgere alcune indagini per proprio conto. Per prima cosa esaminò varie immagini satellitari alla ricerca del luogo di impatto del disco. Infatti, malgrado siano passati oltre 60 anni, il terreno, per quanto intonso in apparenza, agli infrarossi potrebbe ancora mostrare segni inequivocabili di uno schianto. Così infatti fu: il professor Kimbler individuò ben presto un luogo che mostrava i sommovimenti caratteristici causati da un impatto con un oggetto di massa rilevante. Non solo, il punto del presunto impatto si trovava proprio in una zona in tutto e per tutto coincidente con quella descritta dai testimoni dell’epoca.
Fiducioso della bontà di quanto scoperto, il professor Kimbler si recò sul luogo munito di un metal detector in grado di reperire oggetti metallici presenti fino a 3 cm sotto la superficie. Come è noto, a seguito del crash nel 1947 la zona era stata successivamente rastrellata con attenzione alla ricerca di ogni più piccolo detrito. Tuttavia, Kimbler confidava di poter trovare resti di dimensioni ridotte, magari in tane di animali.
È stato proprio in un formicaio, infatti, che Kimbler rinvenì un piccolo pezzo argenteo e piatto, come una mini lastra di alluminio. Questo fu solo il primo di una lunga serie di ritrovamenti di oggetti nella zona: pezzi di metallo in apparenza triturati, bottoni poi scoperti appartenere a uniformi delle Forze Armate a fine anni ’40, chiodi, truciolame, pezzi di latta.
Soddisfatto per quanto rinvenuto, il professor Kimbler decise di fare sottoporre ad analisi i resti che reputava più inspiegabili. Per questo si rivolse all’International Ufo Museum di Roswell, il quale decise di finanziare alcuni test presso il New Mexico Tech di Socorro.
Il laboratorio di Socorro, a seguito di un esame con microscopio e spettrometro, dichiarò che la lastra analizzata era composta di alluminio, silicio, manganese e lega di rame, tutti elementi presenti anche sul nostro pianeta, per quanto la struttura a pellicola del pezzo fosse in ogni caso alquanto inusuale.
A questo punto, per nulla scoraggiato, Kimbler decise di sottoporre il campione a un’analisi isotopica, l’unica in grado di determinare l’origine terrestre o meno del materiale, dal momento che i rapporti isotopici dei metalli hanno caratteristiche uniche in base alla loro provenienza, nel senso che un eventuale metallo non di questo pianeta presenterebbe un rapporto isotopico differente da quello mostrato dallo stesso metallo ma di origine terrestre.
Per svolgere questo test Kimbler si recò presso l’Istituto Meteoriti dell’Università del New Mexico. Qui un tecnico di analisi isotopiche, dopo aver saputo che i detriti provenivano dalle vicinanze di Roswell, si rifiutò di eseguire il test, sostenendo che il solo pensare si potesse trattare di materiale extraterrestre costituiva una sciocchezza, in ciò denotando un atteggiamento totalmente agli antipodi rispetto a quanto imporrebbe il metodo scientifico.
Noncurante dell’ostacolo posto da questo primo laboratorio, Kimbler cercò altri istituti che svolgessero l’analisi da lui richiesta. Con il finanziamento dell’International Ufo Museum di Roswell, Kimbler si rivolse a un altro laboratorio di analisi il quale, dopo soli cinque giorni, gli fece avere i risultati.
Lo stupore fu quasi parossistico nel vedere che, secondo i test effettuati, il magnesio contenuto nel pezzo non era di origine terrestre, distanziandosi di molto dai valori riscontrabili nel magnesio comune sulla Terra. Due sole possibilità rimanevano: il test era stato eseguito in maniera errata, oppure il laminato proveniva davvero da un altro pianeta.
Al momento, stando a quanto dichiarato in questi giorni da Kimbler, altri due laboratori stanno analizzando i detriti recuperati, per cui nelle prossime settimane si avranno ulteriori risultati che potranno comprovare o meno le prime risultanze.
Et in Arcadia Ego…
Quanto finora narrato, però, sarebbe fin troppo idilliaco per l’ufologo, nel senso che rappresenterebbe fin troppo un sogno diventato realtà. A contrastare uno scenario ameno si inserisce una vicenda trasversale, sempre concernente i detriti e il professor Kimbler, che fornisce spunti di riflessione sull’intera vicenda.
Infatti, tra i vari pezzi ritrovati sul presunto luogo del crash, Kimbler ne avrebbe inviato uno tramite corriere alla School of Earth and Space Exploration dell’Università dell’Arizona, a Tempe, allo scopo di fare eseguire ulteriori test. A differenza di quanto si potrebbe prevedere, il pacco è effettivamente arrivato ma, come testimoniato dalla professoressa Lynda Williams, ricercatrice presso detto istituto, al suo interno non vi sarebbe stato alcun frammento.
Le ragioni ipotizzabili possono essere molte: dimenticanza da parte di Kimbler, intercettazione del pacco durante la spedizione con relativo asporto del contenuto, perdita del frammento al laboratorio, occultamento del medesimo presso il laboratorio stesso. Quale che sia la ragione, si è giunti a una decisione discutibile, per quanto motivata presumibilmente da intenti protettivi, da parte del professor Kimbler: non inviare più reperti ad alcun team di ricerca ma solo a propri fidati collaboratori.
Il problema di questa decisione è che si presta a una critica di lapalissiana evidenza, consistente nell’ipotizzare che Kimbler ben saprebbe di non aver scoperto nulla di extraterrestre ma che sarebbe in cerca di un po’ di visibilità.
Non credo sia assolutamente questo il caso, sia per la professionalità del Kimbler sia perché i risultati emersi dalle analisi effettuate dal primo laboratorio permangono, nella loro rocciosa credibilità, a indicare un’origine non terrestre del magnesio contenuto nel pezzo esaminato.
Cionondimeno, Kimbler dovrà ora confrontarsi con questa valanga di critiche provenienti dagli ambienti accademici, i quali, finché non emergeranno nuove prove, avranno buon gioco ad affermare che i test svolti non sono sufficienti per fornire credibilità totale alle risultanze ottenute.
Considerazioni
Il caso del professor Kimbler è altamente paradigmatico. Il primo aspetto che balza agli occhi è come le agenzie di stampa internazionali abbiano praticamente ignorato una notizia di simile valore, preferendo a essa vicende, anche ufologiche, maggiormente atte a fare clamore, ma intrinsecamente supportate da prove di scarso valore (nella migliore delle ipotesi) oppure persino prive del minimo appiglio probatorio. Ciò mostra non solo quanto la via per il disclosure sia lunga, ma anche come i media tendano a fornire un’immagine altamente sviante del fenomeno Ufo, dando risalto agli aspetti più trash che non fanno che allontanare coloro che si trovano in posizioni di apertura mentale ma che, dinnanzi a storie ben oltre i confini dell’incredibile, tendono a rimanere disgustati e a considerare l’intero fenomeno Ufo come il frutto di una montatura.
Al tempo stesso, il caso Kimbler si pone come una vera e propria pietra di paragone: infatti non si può nascondere come le aspettative siano molto elevate, nel senso che, per la prima volta, ci si troverebbe davvero di fronte a una sorta di pistola fumante. Per questa ragione sarebbe auspicabile che il professor Kimbler non si rifugiasse nel cliché di colui che afferma di sapere, di avere in mano prove certe, ma di tenerle per sé poiché “altri” non ben identificati (siano essi agenti del governo o di enti vari) cospirano contro di lui per nascondere la verità. Può essere effettivamente così, ma non sempre la linea di demarcazione con uno scenario alla John Nash è netto come si potrebbe pensare analizzando le situazioni dall’esterno.
Un altro aspetto da non dimenticare è rappresentato dal fatto che, ancora una volta, le maggiori prove a sostegno della realtà di un fenomeno che i benpensanti vorrebbero essere frutto di menti allucinate sono collegate al caso Roswell, caso la cui importanza spesso viene dimenticata dagli stessi ufologi.
L’8 luglio del 1947, infatti, la cortina dell’insabbiamento non si era ancora abbassata sulla vicenda e la verità era ancora osservabile nella sua netta chiarezza, chiarezza che nessuna spiegazione di comodo successiva potrà mai offuscare e il cui nitore è ancora oggi intatto grazie al testo del comunicato, redatto dal tenente Walter Haut, funzionario del Public Information Office del Campo d’Aviazione di Roswell, su ordine diretto dell’allora comandante della base, Colonnello William Blanchard, che recita quanto segue: “Le numerose voci concernenti i dischi volanti sono finalmente diventate realtà ieri, quando il Reparto Informazioni del 509 Gruppo da Bombardamento dell’VIII Forza Aerea del Campo di Aviazione di Roswell ha avuto la fortuna di entrare in possesso di un disco con la collaborazione di un allevatore del posto e dello sceriffo della Contea di Chaves (omissis). L’Aeronautica è passata immediatamente all’azione e il disco è stato rimosso dalla casa dell’allevatore, quindi esaminato nel Campo di Aviazione di Roswell e infine inviato dal maggiore Marcel al quartier generale“.
Al professor Kimbler l’arduo compito di portare la verità fuori dal fango gettatole addosso dai mestieranti della ragion di Stato.
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