Il Dr. Enzo Soresi, tisiologo, anatomopatologo, oncologo, già primario di pneumologia al Niguarda di Milano, nel libro “Il cervello anarchico” racconta casi di persone uccise dallo stress o salvate dallo choc carismatico della fede.
Dopo una vita passata a dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi, bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche.
C’era già arrivato per intuizione il filosofo ateniese Antifonte, avversario di Socrate, nel quinto secolo avanti Cristo, quando affermò: “In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto”. Soresi c’è arrivato dopo aver visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza della mente. Ecco cosa dice, riguardo due casi da lui trattati: «Avevo in cura una signora di Milano il cui marito, integerrimo commercialista, la sera andava a bucare le gomme delle auto. Per il dispiacere s’era ammalata di tubercolosi. Io lo chiamo “danno biologico primario”. Un altro caso riguarda un agricoltore sessantenne con melanoma metastatico, che incontrò Madre Teresa di Calcutta, ricevette in dono un’immaginetta sacra e guarì. Io lo chiamo “shock carismatico”».
Il professore ha dato una spiegazione scientifica al miracolo: «Il melanoma è un tumore che viene identificato dagli anticorpi dell’organismo, tant’è vero che si sta studiando da 30 anni un vaccino specifico. Non riusciamo a controllarlo solo perché l’antigene tumorale è talmente aggressivo da paralizzare il sistema immunitario. Nel caso del contadino ha funzionato una combinazione di fattori: aspettativa fideistica, strutture cerebrali arcaiche, Madre Teresa, la consegna del santino. Risultato: il suo organismo ha sprigionato fiumi di interferoni e interleuchine che hanno attivato gli anticorpi e fatto fuori il cancro».
Come Soresi illustra nel libro “Il cervello anarchico” già ristampato quattro volte, la nostra salute dipende da un network formato da sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale. «Il secondo ci difende e ci organizza la vita. Ci tollera. Il fattore più importante è il linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei virus creando anticorpi. Abbiamo 40 miliardi di linfociti, che quando si attivano, producono ormoni cerebrali. Non c’è limite alla plasticità cerebrale, non c’è limite alla neurogenesi. Esiste un flusso continuo di cellule staminali prodotte dal cervello: chi non le utilizza, le perde».
«Le premesse della longevità sono dunque due: camminare 40 minuti tre volte la settimana – altrimenti si blocca il ricambio delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre il cervello – e studiare, leggere, fare un’attività che impegni la mente». Secondo il medico-scrittore, è questa la strada per allungare la vita di almeno 10 anni. «Quando ci impegniamo a leggere, le staminali vengono catturate dalla zona dell’encefalo interessata a queste attività. Se io, ad esempio, sottopongo oggi la sua testa a una scintigrafia e poi lei si mette a studiare il cinese, fra tre anni in un’altra scintigrafia vedrò le nuove mappe cerebrali che si sono create per immagazzinare questa lingua. Oppure prendiamo i tassisti di Londra: hanno un ippocampo più grande del normale, perché mettono in memoria la carta topografica di una città che si estende per 6 miglia».
«Il professor Soresi è cresciuto in mezzo alle lastre: suo padre Gino, tisiologo, combatteva la Tbc nel sanatorio Vialba di Milano, oggi ospedale Sacco. Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista, che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma. «È un tumore polmonare che ha la caratteristica di esordire con sindromi paraneoplastiche, cioè con malattie che non c’entrano nulla col cancro: artrite reumatoide, tiroidite autoimmune, sclerodermia, reumatismo articolare. È una neoplasia che nel 100% dei casi scompare con quattro cicli di chemioterapia. Eppure uccide lo stesso nel giro di sei mesi.Era diventato la mia ossessione: non riuscire a guarire una cosa che sparisce! Com’è possibile? Ci ho messo 30 anni a capirlo: perché il microcitoma ha una struttura neuroendocrina. La massa nel polmone scompare, ma si espande con metastasi ovunque. Ne ho concluso che la medicina non è una vera scienza. Tutt’al più una scienza in progresso, diciamo una scienza inesatta».
«Ma torniamo al cervello. Alla nascita il cervello non è ancora programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo strutturerà. Ora poniamo l’ipotesi di un neonato che nasca in una famiglia dove la madre sia ansiosa e stressata e il padre ubriacone e manesco: si capisce bene che i segnali che il neonato riceverà, saranno ben diversi da quelli che sarebbero auspicabili per una crescita armonica. E questo vale almeno fino al terzo anno di vita, quando nasce il linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e l’individuo assume una sua identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono tre anni importantissimi».
«Ma torniamo al cervello. Alla nascita il cervello non è ancora programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo strutturerà. Ora poniamo l’ipotesi di un neonato che nasca in una famiglia dove la madre sia ansiosa e stressata e il padre ubriacone e manesco: si capisce bene che i segnali che il neonato riceverà, saranno ben diversi da quelli che sarebbero auspicabili per una crescita armonica. E questo vale almeno fino al terzo anno di vita, quando nasce il linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e l’individuo assume una sua identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono tre anni importantissimi».
«Ai tempi in cui facevo le autopsie, aprivo il cranio e nemmeno sapevo a che cosa servissero i lobi frontali. Li chiamavamo “lobi silenti”, proprio perché ne ignoravamo la funzione. Molti anni dopo s’è scoperto che sono la sede dell’etica, i direttori d’orchestra di ogni nostra azione. A quel punto sono addirittura arrivato a fare le diagnosi a distanza. Se mi telefonavano dalla clinica dicendo che un paziente con un tumore polmonare s’era messo d’improvviso a urlare frasi sconce o aveva tentato di violentare la caposala, capivo, dalla perdita del senso etico, che era subentrata una metastasi al lobo frontale destro».
«Ippocrate aveva definito il cervello come una ghiandola mammaria. Aveva colto la funzione secretiva di un organo endocrino che non produce solo i neurotrasmettitori cerebrali – la serotonina, la dopamina, le endorfine – ma anche le citochine, cioè la chiave di volta dei tre sistemi che formano il network della vita. Le citochine sono 4 interferoni, che aiutano le cellule a resistere agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna con una funzione specifica. Se sono allegro e creativo libero citochine che mi fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine flogogene, che producono processi infiammatori. Ecco perché il futuro della medicina è tutto nel cervello».
«Facciamo un esempio di come il cervello da solo può curare una patologia. Avevo un paziente affetto da asma, che era ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Tornò dopo tre mesi che non lo vedevo, dicendo di essere guarito grazie ad una fattucchiera che gli aveva tolto il malocchio, infilandogli gli spilloni nel materasso. Riesco a spedirlo da uno psichiatra, il quale accerta che il paziente era in delirio psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli tornava l’asma. Si tratta di effetto placebo paragonabile a quello dei finti farmaci. L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far scomparire un sintomo. Ma noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti sarebbe un inganno».
«Esiste, tuttavia, anche l’effetto nocebo. Facciamo un esempio. Avevo come paziente una donna di altissimo livello culturale, fumatrice accanita. Il marito, un imprenditore, fratello di un noto politico, la tradiva sfrontatamente con una giovane amante. Quando la informai che aveva un tumore polmonare, mi raggelò dicendo: “Non m’interessa. L’importante è che lo dica a mio marito”. Cosa che feci, anche in maniera piuttosto teatrale. Lui scoppiò a piangere, lei sfoderò un sorriso trionfale. È evidente che due anni di stress violento avevano provocato nella donna un abbassamento delle difese immunitarie e quindi il tumore. Almeno morì contenta, sei mesi dopo. Un altro esempio? Una cara amica con bronchiettasie bilaterali. Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col marito. Per due anni non la vidi, quindi la cercai al telefono: “Enzo, mi sono separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico stabilizzato le aveva consentito di ritrovare la salute.»
«Un altro esempio: colf di 55 anni, origine salernitana, tradizionalista. Mai un giorno di malattia. La figlia le dice: “vado in Inghilterra a fare la cameriera”. Dopo 10 giorni di stress, si ritrova un ginocchio dolorante e gonfio. La lastra evidenzia un’artrosi della tibia, che non si era mai attivata, ma che al momento del disagio psichico è esplosa. C’è voluto un intervento chirurgico per risolvere il problema».
D: Nel libro “Il cervello anarchico” si fa riferimento anche a sogni premonitori.
«Viene da me uno psichiatra milanese, forte fumatore, con dolori scheletrici bestiali. Mi racconta d’aver sognato la sua tomba con la data della morte sulla lapide. Lastra e Tac negative. Era un tumore polmonare occulto, con metastasi ossee diffuse. Morì esattamente nel giorno che aveva sognato. Del resto, anche il famoso psicoanalista Carl Gustav Jung fece un sogno di questo tipo: mentre dormiva avvertì un forte colpo alla nuca, dopodiché gli apparve in sogno un amico che gli disse: “Mi sono sparato. Ho lasciato il testamento nel secondo scaffale della libreria”. L’indomani andò a casa dell’amico: si era suicidato e la busta era nel posto indicato».
D: I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi soprannaturali o costruzioni del cervello?
«Io sono per un pensiero laico. Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la relazione è un farmaco. Di sicuro anche credere in Dio, avere una fede, fa bene. Un gioielliere milanese mi portò la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo aveva una sorella monaca, che faceva parte di una congregazione religiosa, che nella foresta amazzonica pregava per incentivare guarigioni a distanza. Dal momento in cui le suore iniziarono a pregare per la povera donna, da quel preciso istante la paziente oncologica, che prima urlava per il dolore, non soffrì più».
D: Come si mantiene dunque in buona salute il cervello?
«Ho un cugino architetto, mio coetaneo, che sembrava un rottame. S’è iscritto all’università della terza età, si è appassionato allo studio della lingua egiziana. Tutti i giorni passa almeno cinque ore davanti al computer e ha già tradotto quattro libri in italiano dall’egiziano. Come risultato è ringiovanito, ha cambiato faccia».
D: Sappiamo tutto del cervello?
«Nooo! Sul piano anatomico e biologico ne sappiamo intorno al 70%. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo. Lei calcoli che ogni anno vengono pubblicati 25.000 lavori scientifici di neurobiologia».
Ha mai sperimentato su di sé disagi psichici che hanno influenzato il suo stato di salute?
«Nel 1971 ho sofferto moltissimo per la morte di mia moglie Marisa, uccisa da un linfogranuloma a 33 anni. Era una pittrice. Devo tutto a lei, ma la malattia cambiò la sua arte. Cominciò a dipingere corpi sfilacciati, cuori gettati sopra le montagne. Fu irradiata in maniera scorretta, per cui nell’ultimo anno di vita rimase paralizzata. Nostro figlio Nicolò, nato nel 1968, l’ho cresciuto io. Marisa mi ha però lasciato un modello perfetto: un bambino che riesce a sopportare persino la perdita più straziante, solo perché la mamma ha saputo far sviluppare armonicamente il suo cervello nei primi tre anni di vita».
Tratto da: Psicosomatica: “Il cervello vi ammala o vi guarisce”, di Stefano Lorenzetto. A cura di Fisicaquantistica.it
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