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6 ottobre 2014

I POLI MAGNETICI POTREBBERO INVERTIRSI NELL'ARCO DI UNA VITA UMANA

I risultati di uno studio condotto negli Appennini e diretto dai geologi italiani di Ingv e Igag. Si ignora perché questo avvenga, ma potrebbe avere gravi ripercussioni sulla nostra civiltà tecnologica. È più concreta di quanto si credesse la possibilità che l’inversione dei poli magnetici terrestri – che potrebbe avere gravi ripercussioni sulla nostra civiltà tecnologica – possa prodursi in un tempo molto breve, cioè entro la durata di vita di un essere umano.

Un team di scienziati italiani, statunitensi e francesi, guidato da Leonardo Sagnotti dell’istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) presenta sul numero di novembre del Geophysical Journal International, pubblicato della Oxford University Press per conto della Royal Astronomical Society, lo studio “Extremely rapid directional change during Matuyama-Brunhes geomagnetic polarity reversal” che riporta «un’indagine paleomagnetica dell’ultima piena inversione del campo magnetico terrestre, la transizione Matuyama-Brunhes (MB), come preservato in una sequenza continua di sedimenti lacustri esposti dell’Appennino del Centro Italia». Secondo il team, del quale fanno parte anche Giancarlo Scardia dell’Ingv, e Biagio Giaccio dell’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria (Igag) del Cnr, «Il dato paleomagnetico fornisce la prova più diretta per il tempo del comportamento del campo di transizione mai ottenuto per la transizione MB».

A fine giugno l’Agenzia spaziale europea (Esa) aveva presentato i primi risultati della missione Swarm: 3 piccoli satelliti lanciati nel novembre 2013 che dimostrano che il campo magnetico, che protegge il nostro pianeta dalle emissioni solari, si sta indebolendo rapidamente, per circa il 5% delle sua intensità in un decennio, cioè 10 volte più velocemente di quel che si credeva prima. Una notizia che ha riacceso la discussione sull’ipotesi di una prossima inversione dei poli magnetici. Il responsabile del progetto Swarm, il norvegese Rune Floberghagen cercò di tranquillizzare tutti: «Un tale capovolgimento non è istantaneo, prenderà diverse centinaia di anni se non qualche millennio». Ma, solo tre mesi dopo quelle dichiarazioni, lo studio del team di Sagnotti rilancia l’allarme.


Su Le Monde uno dei ricercatori che hanno partecipato allo studio, Sébastien Nomade, del Laboratoire des sciences du climat et de l’environnement del-CNRS-Université de Versailles, spiega che la scoperta inizia con il terremoto de L’Aquila del 2009: «In seguito a questo dramma, lo Stato italiano ha chiesto ai geologi dell’Igag di cartografare i bacini degli Appennini che sono estremamente attivi dal punto di vista tettonico. In alcuni tra questi, che una volta erano stati riempiti da laghi, abbiamo trovato dei depositi di diversi chilometri di spessore: i sedimenti si sono accumulati ad una velocità non commisurabile a quella che si trova altrove ed in questo passaggio hanno mantenuto la traccia di diverse eruzioni vulcaniche». E’ basandosi su questi depositi sedimentari che i ricercatori hanno reperito i dati cronologici per ricostruire le variazioni del campo magnetico terrestre nel passato, il paleomagnetismo. Ma la scoperta eccezionale è avvenuta quando il team di Sagnotti ha trovato nei sedimenti la “memoria” dell’ultima inversione dei poli magnetici, la Matuyama-Brunhes, avvenuta circa 780.000 anni fa.

Nomade spiega che «quando il materiale si deposita nel lago, le fini particelle di magnetite che contiene si orientano seguendo le linee del campo magnetico terrestre. In seguito si può misurare la direzione che avevano nelle diverse epoche». Più è veloce la deposizione di queste particelle, migliore è la risoluzione della registrazione paleomagnetica. Nel caso dei sedimenti degli antichi laghi appenninici italiani, il team internazionale ha lavorato su uno strato spesso più di due metri che copriva un periodo di 10.000 anni, nel corso del quale si è radicata l’inversione M-B e lo hanno fatto a fette di 2 cm di spessore, rappresentanti ognuna un secolo di depositi, poi le hanno analizzate.

I risultati sono stati una vera sorpresa anche per gli scienziati. Dopo lunghi avvii, segnati da un indebolimento del campo magnetico e da “tentativi” di inversione «ad un certo momento – dice Nomade a Le Monde – il cambiamento di polarità si è prodotto molto velocemente, al livello di una vita umana, cioè molto più rapidamente di quel che si credeva prima. Durante questa inversione, i poli magnetici si sono spostati in media alla velocità di due gradi all’anno».


Si ignora perché questo avvenga, ma il mistero è racchiuso nella dinamo terrestre, cioè le differenze di movimento tra le parti liquide e solide del nocciolo metallico del nostro Pianeta. Attualmente il campo magnetico ha un’intensità più debole della media e secondo i satelliti Swarm cala rapidamente.

Un’inversione del campo magnetico significa un forte indebolimento della magnetosfera, lo scudo invisibile che protegge la Terra dalle particelle del vento solare. Le Monde sottolinea che «il rischio per la specie umana non è veramente biologico: non si è trovata un’estinzione di massa associata alle inversioni del passato. Il rischio è piuttosto di ordine tecnologico». Lo scudo della magnetosfera ha già dei “buchi” che danno per esempio origine alle belle ed inquietanti aurore boreali ed australi, ma quando una forte attività solare ci invia una mostruosa quantità di particelle può avvenire una tempesta magnetica che può provocare, come nel marzo 1989 in Québec, un collasso della rete elettrica ed un gigantesco blackout. Con l’inversione dei poli magnetici la nostra società tecnologica dovrebbe affrontare un tale fenomeno su scala planetaria e con una magnetosfera debolissima. Senza contare che a 25 anni dall’incidente canadese il mondo è ancora più interconnesso, interdipendente e dipendente dall’elettricità.

Nomade invita comunque a non cedere all’allarmismo catastrofista: «E’ difficile dire se ci stiamo dirigendo verso un’inversione. Direi che non ci sono più argomenti a favore che contrari a questa idea».


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